Ricorso della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  (codice
fiscale  80188230587),  in  persona  del  Presidente  del   Consiglio
attualmente in carica, rappresentata e difesa  per  mandato  ex  lege
dall'Avvocatura generale dello Stato  (codice  fiscale  80224030587),
presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei  Portoghesi  n.  12
(fax 0696514000 - PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it); 
    Ricorrente contro la regione Liguria, in persona  del  presidente
della  giunta  regionale  attualmente  in   carica   resistente   per
l'impugnazione  e  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'   degli
articoli 2, commi 1 e 3 - 3, comma 2 - 12, comma 1 - 14,  comma  1  -
15, comma 1 - 17, comma 1 - 18, comma 1 - 27, comma 1 - 31, comma 1 -
34, comma 1 - 50, comma 1 - 51, comma 1 - 61, comma 6 - 68, comma 7 -
80, comma 1, della legge regionale 2 aprile 2015, n.  11,  avente  ad
oggetto «Modifiche alla legge  regionale  4  settembre  1997,  n.  36
(Legge urbanistica regionale)», pubblicata sul BUR n. 11 del 9 aprile
2015. 
    La regione Veneto ha approvato ed emanato la legge n. 11/2015 con
cui in ben ottantadue articoli ha  introdotto  modifiche  a  svariate
norme della precedente legge regionale  in  materia  urbanistica,  la
legge regionale n.  36/1997,  praticamente  sostituendola  quasi  del
tutto. 
    La nuova legge, in sostanza, viene a  costituire  la  vigente  ed
integrale disciplina urbanistica regionale. 
    Sennonche',  ad  avviso  della  Presidenza  del   Consiglio   dei
ministri, molte di queste  nuove  norme  sono  in  contrasto  con  la
Costituzione in quanto invadono indebitamente la sfera di  competenza
esclusiva dello Stato in  materia  di  pianificazione  paesaggistica,
competenza che come noto  lo  Stato  ha  esercitato  con  il  decreto
legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). 
    Altre norme, invece, pur appartenendo alla competenza legislativa
regionale, non rispettano i principi fondamentali dettati dallo Stato
nella specifica materia, e dunque si pongono ugualmente in  contrasto
con i criteri di riparto previsti dalla Costituzione. 
    Con il presente atto, pertanto, la Presidenza del  Consiglio  dei
ministri  deve   impugnare   la   legge   regionale   in   questione,
limitatamente alle norme in epigrafe indicate, per il seguenti, 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,  e  degli
articoli 14, comma 1, 15,  comma  1,  e  17,  comma  1,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per contrasto con l'art.  117,  comma
2, lettera s) della Costituzione. 
    La  norma  in  considerazione,  al  comma  1,  prevede   che   la
pianificazione territoriale, gia' definita dall'art.  2  della  legge
regionale n. 36/1997 (che la novella va ad integrare),  debba  essere
attuata nel rispetto delle  competenze  in  materia  di  governo  del
territorio previste nell'ordinamento statale e regionale. 
    Sennonche', il successivo art. 14 della stessa  legge  regionale,
nel sostituire con unico comma l'art. 13 della  precedente  legge  n.
36/1997, attribuisce allo strumento di pianificazione territoriale  -
il PTR, Piano territoriale regionale  -  anche  il  valore  di  piano
paesaggistico regionale. 
    Ed  il   procedimento   per   la   formazione   dello   strumento
pianificatorio in questione, come  disciplinato  dall'art.  15  delle
legge regionale in sostituzione dell'art. 14 della  precedente  legge
n. 36/1997, prevede solo la sua trasmissione al Ministero per i  beni
e le attivita' culturali al  fine  dell'espressione  di  un  semplice
parere. 
    Analogamente, l'art. 17 della legge regionale, che ha  sostituito
con unico  comma  l'art.  16  della  precedente  legge,  prevede  una
procedura di variante  al  PTR  che  -  richiamando  le  disposizioni
dell'art. 14 della legge n.  36/1997  come  sostituito  dall'art.  15
della nuova legge - e' caratterizzata dalla mera partecipazione delle
amministrazioni  interessate,  tra  le  quali   evidentemente   anche
l'Amministrazione dello Stato. 
    Invece, ben diverso e' il ruolo dello Stato nella  pianificazione
paesaggistica secondo le norme statali. Gli articoli 135  e  143  del
Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo  n.  42/2004  prevedono  infatti  che  la  pianificazione
paesaggistica avvenga con  un  atto  elaborato  congiuntamente  dalla
singola regione  e  dal  Ministero,  con  modalita'  disciplinate  da
apposite  intese  che  riguardano  anche  le  successive   modifiche,
revisioni ed integrazioni, prima  della  sua  approvazione  da  parte
della regione interessata. 
    In  sostanza,  la  combinazione  delle   nuove   norme   comporta
un'inammissibile   alterazione   delle   competenze    pianificatorie
disciplinate in via esclusiva dalla legge statale, espropriando  allo
Stato (cui ora e' riconosciuta una semplice funzione consultiva  alla
quale e' relegato) la funzione di co-pianificazione paesaggistica. 
    Il che palesemente contrasta con il precetto di cui all'art. 117,
comma 2, lettera s) della Costituzione  che  riserva  allo  Stato  la
competenza   esclusiva   in   materia   di   tutela    dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali, di cui  il  bene  complesso  ed
unitario del paesaggio e' parte fondamentale ed integrante. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  3,  della  legge
della legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per contrasto con  l'art.
117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    Inoltre,  sotto  altro  aspetto,  il  comma  3  della  norma  qui
censurata confligge con la Costituzione nella misura in cui subordina
il Piano territoriale regionale (PTR) ai piani di bacino e  ai  piani
per le aree protette. Il che, se  fosse  strettamente  limitato  alla
materia  del  governo  del  territorio,  potrebbe  anche  non  essere
discutibile; ma certamente non e' legittimo per  quella  parte  dello
strumento cui la  stessa  legge  regionale  conferisce  anche  valore
paesaggistico, dal momento che la norma statale che deve regolare  in
via  esclusiva  la  materia  (l'art.  145,  comma  3,   del   decreto
legislativo  n.  42/2004)  prevede  che  le  disposizioni  dei  piani
paesaggistici siano comunque prevalenti sulle disposizioni  contenute
negli  altri  atti  di  pianificazione  territoriale  previsti  dalle
normative di settore, ivi compresi quelli degli  enti  gestori  delle
aree naturali protette. 
    E quindi e' evidentemente illegittima  la  norma  che  conferisce
allo strumento pianificatorio territoriale  un  ruolo  subordinato  -
inconcepibile per la  parte  di  valenza  paesaggistica  -  ad  altri
strumenti di pianificazione settoriale. 
    Ed anche in questo caso, in cui  la  legge  regionale  detta  una
disciplina palesemente difforme da quella dettata dallo Stato con  il
Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  si  deve  dedurre  la
violazione della norma costituzionale che attribuisce allo  Stato  la
competenza legislativa esclusiva in materia. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  2,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art.  117,  comma
2, lettera s) della Costituzione. 
    L'art.  3,  comma  2,  della  legge   regionale   qui   censurata
sostituisce, modificandone il contenuto, il comma 3 dell'art. 3 della
precedente legge regionale n. 36/1997. 
    Esso  prevede  che  il  Piano  territoriale  regionale  (PTR)  e'
elaborato in coerenza con gli obiettivi e i contenuti degli  atti  di
programmazione regionale, secondo le modalita' partecipative previste
nell'art. 6. 
    Questa norma disciplina la conferenza di  pianificazione,  a  cui
partecipano   gli   enti   territoriali   e   le   altre    pubbliche
amministrazioni coinvolte, che in quella sede  espongono  le  proprie
osservazioni, proposte e valutazioni destinate ad essere verbalizzate
e ad essere tenute in considerazione nel processo di pianificazione. 
    Ora, per la valenza che  il  PTR  ha,  per  effetto  delle  legge
regionale, anche sotto il profilo paesaggistico, la norma si presta a
fondata censura di incostituzionalita' perche' (laddove  include  fra
le «altre pubbliche amministrazioni»  anche  il  Ministero  dei  beni
culturali   ed   ambientali   e   gli   assegna   un    mero    ruolo
partecipativo/propositivo) urta con la legge statale che prevede  ben
altro ruolo per il Ministero preposto alla tutela dell'ambiente e del
paesaggio. 
    Come gia' ricordato sopra, infatti, allo Stato spetta  un  potere
non di semplice partecipazione,  ma  un  vero  e  proprio  potere  di
co-pianificare mediante la  elaborazione  congiunta  dello  strumento
pianificatorio; e tale potere, in  quanto  attribuito  da  una  norma
statale (articoli 135 e  143  del  decreto  legislativo  n.  42/2004)
nell'esercizio di una  competenza  legislativa  esclusiva,  non  puo'
essere eliso ne' ridimensionato. 
    In quanto lesiva di questa competenza, dunque, anche la norma qui
censurata deve essere ritenuta illegittima per contrasto  con  l'art.
117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art.  117,  comma
2, lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 12 sostituisce con unico comma l'art. 11 della  precedente
legge regionale n. 36/1997 ed attribuisce al  quadro  strutturale  la
disciplina di tutela, salvaguardia, valorizzazione  e  fruizione  del
paesaggio in ragione  dei  differenti  valori  espressi  dai  diversi
contesti territoriali che lo costituiscono, espressamente  demandando
al PTGcm e al PTC provinciale l'integrazione e lo sviluppo di  alcuni
elementi di tale disciplina secondo le indicazioni  all'uopo  fornite
dal PTR. 
    Anche in questo caso va lamentata la  lesione  delle  prerogative
dello  Stato  nella  regolazione  legislativa   della   materia   del
paesaggio, perche' la disciplina regionale  contrasta  con  le  norme
statali  che  escludono   che   gli   strumenti   di   pianificazione
territoriale (che nella logica della  regola  statale  sono  ad  esso
sotto ordinati) possano sostituirsi al Piano paesaggistico,  ed  anzi
devono a questo adeguarsi e conformarsi ai sensi degli articoli  143,
comma 9, e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    In quanto contrastante con la norma statale, ed anzi lesiva della
competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  nella  materia  della
tutela del paesaggio,  la  disposizione  qui  censurata  deve  essere
dichiarata illegittima per la  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera s) della Costituzione. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art.  117,  comma
2, lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 18 della legge regionale n. 11/2015  ha  introdotto  nella
precedente legge regionale n. 36/1997 l'art. 16-bis, che prevede  che
il PTR sia attuato mediante progetti a scala urbanistica o  edilizia,
costituenti strumenti operativi da promuovere o da approvare da parte
della regione con deliberazione della giunta  regionale,  sentito  il
comitato tecnico regionale  per  il  territorio  nei  novanta  giorni
successivi al  ricevimento  dei  pareri  ed  assensi  previsti  dalla
vigente legislazione in materia. 
    Non vi e' alcuna previsione di coinvolgimento del  Ministero  dei
beni culturali  ed  ambientali  nell'esame  della  conformita'  degli
strumenti  attuativi  alle  disposizioni  del   Piano   paesaggistico
regionale, ne' vi e' alcun raccordo tra gli strumenti  di  attuazione
(peraltro,  non  previsti  dal  Codice  dei  beni  culturali  e   del
paesaggio) ed il processo di pianificazione paesaggistica congiunta. 
    La  mancata  o   non   adeguata   partecipazione   degli   organi
ministeriali a procedimento di  conformazione  ed  adeguamento  degli
strumenti   urbanistici   alle   previsioni   della    pianificazione
paesaggistica contrasta con l'art. 145  del  decreto  legislativo  n.
42/2004 e, quindi, con la norma della Costituzione che  riserva  allo
Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di paesaggio. 
    Tale e' anche l'orientamento  della  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale  che  anche  recentemente,  peraltro   su   una   scia
assolutamente  consolidata,  ha  confermato  la  necessita'  di  tale
partecipazione e della sua  pienezza  affinche'  siano  rispettati  i
dettami della Carta in tema di riparto delle competenze (Corte  Cost.
sentenza 64/2015). 
    La stessa norma regionale qui censurata non chiarisce affatto  la
sua portata sotto  questo  aspetto,  in  quanto  il  procedimento  di
approvazione  degli  strumenti  attuativi  da  parte   della   giunta
regionale  non  e'  dato  comprendere   se   preveda   l'acquisizione
dell'autorizzazione paesaggistica in  conformita'  con  le  procedure
previste dall'art. 146  del  Codice,  ovvero  sia  sostitutivo  della
stessa, oppure ancora - in alternativa - intenda sostituire il parere
previsto dagli articoli 16 e 28 della legge n. 1150/1942. 
    Tale  contenuto  porta  ad  affermare  che  anche  la  norma  qui
censurata contrasta  con  l'art.  117,  comma  2,  lettera  s)  della
Costituzione e deve pertanto essere dichiarata illegittima. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 1,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art.  117,  comma
2, lettera s) della Costituzione. 
    L'art. 27, comma 1, della legge regionale n. 11/2015  sostituisce
integralmente l'art. 23 della precedente legge regionale n.  36/1997,
prevedendo che il PTC provinciale  possa  essere  variato,  anche  su
proposta degli enti locali  interessati,  con  le  procedure  di  cui
all'art. 22, nonche', nelle ipotesi previste dagli articoli  57,  58,
comma 6, e 61, comma 1, della legge n. 36/1997 e con le procedure ivi
rispettivamente previste. 
    La stessa norma, altresi', prevede - sempre nel  testo  novellato
dell'art. 23 della legge n. 36/1997 - che decorsi cinque  anni  dalla
approvazione del PTC provinciale il consiglio provinciale ne  accerti
l'adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle  verifiche
effettuate in attuazione del programma di monitoraggio  approvato  in
sede di procedure di VAS. 
    Anche  tale  disposizione,  che  prevede  che  le  procedure   di
approvazione  delle  varianti  del  PTC  provinciale  e  verifica  di
adeguatezza, non contempla la partecipazione del Ministero dei beni e
delle attivita' culturali e del turismo alle  attivita'  di  verifica
dell'adeguatezza del PTC provinciale al  PTR,  in  contrasto  con  le
previsioni di cui all'art. 145,  comma  5,  del  Codice  di  settore,
secondo cui «La regione disciplina il procedimento  di  conformazione
ed adeguamento degli  strumenti  urbanistici  alle  previsioni  della
pianificazione paesaggistica,  assicurando  la  partecipazione  degli
organi ministeriali al  procedimento  medesimo».  Pertanto,  anche  a
questa norma si estendono le  censure  di  incostituzionalita'  sopra
specificate e  relative  alla  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera s) della Costituzione. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 1,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art. 117, comma 3
della Costituzione. 
    L'art. 34, comma 1, della legge regionale n. 11/2015 ha  inserito
nel corpo della precedente legge regionale n. 36/1997  ben  ulteriori
quattro articoli: 29-bis, 29-ter, 29-quater e 29-quinquies. 
    L'art. 29-ter in particolare prevede  che  il  piano  urbanistico
comunale (PUC) possa «individuare negli ambiti  e  nei  distretti  di
trasformazione  gli  edifici  o  complessi   di   edifici   esistenti
suscettibili   di    riqualificazione    edilizia    o    urbanistica
caratterizzati da: ...  a)  condizioni  di  rischio  idraulico  o  di
dissesto  idrogeologico;  b)  condizioni  di   incompatibilita'   per
contrasto con la destinazione d'uso dell'ambito o  del  distretto  di
trasformazione o per la tipologia  edilizia;  ...  d)  situazioni  di
interferenza con la previsione di realizzazione di servizi pubblici o
infrastrutture  pubbliche».  Il  comma  2   del   medesimo   articolo
stabilisce che «Ove gli interventi di cui al  comma  1  prevedano  la
demolizione totale o parziale dei fabbricati,  il  PUC  stabilisce  i
parametri per l'utilizzazione del corrispondente credito edilizio  in
funzione della  destinazione  d'uso  degli  edifici  da  demolire  ed
individua gli ambiti e i distretti nei quali tale credito puo' essere
trasferito, anche con tempistiche di utilizzo differite, fissando  le
relative percentuali di utilizzo per  l'attuazione  degli  interventi
previsti  nei  distretti  e  negli  ambiti  secondo   la   rispettiva
disciplina». Al comma 3 si chiarisce che «Non possono  dar  luogo  al
riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza
od  in  difformita'  dai  prescritti  titoli  abilitativi  edilizi  e
paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione». 
    La  disposizione,   nel   postulare   la   possibilita'   di   un
riconoscimento di un credito edilizio a fronte della  demolizione  di
edifici o complessi di edifici esistenti realizzati in assenza  o  in
difformita' dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici «se non
previa loro regolarizzazione», si pone in contrasto  con  i  principi
fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel testo
unico dell'edilizia  (decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001), e in particolare con gli articoli 36 e 37, che subordinano
il rilascio del titolo in sanatoria alla conformita'  dell'intervento
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento  della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione  della
domanda. Si tratta del requisito della c.d. «doppia-conformita'»  che
la Corte costituzionale, nella sentenza n. 101/2013 ha  espressamente
qualificato principio fondamentale della materia. Le condizioni degli
edifici oggetto  degli  interventi  di  riqualificazione  individuate
dalle lettere a), b), c) e d) del comma 1, e soprattutto il fatto che
lo stesso piano urbanistico postuli la necessita' di demolire  questi
edifici,  sono  intrinsecamente  incompatibili   con   il   requisito
individuato dal testo unico per la sanatoria, ovvero che l'intervento
per  il  quale  si  richiede  la  sanatoria  «risulti  conforme  alla
disciplina urbanistica ed  edilizia  vigente  sia  al  momento  della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione  della
domanda». Pertanto, la disposizione  censurata,  travalica  i  limiti
indicati dalla Corte costituzionale in materia  di  condono  edilizio
(sentenze n. 225/2012 e n.  290/2009)  e  contrasta  con  i  principi
generali in materia di «governo  del  territorio»  sopra  richiamati,
violando l'art. 117, terzo comma, Cost. nella  materia  «governo  del
territorio». 
8) Illegittimita' costituzionale degli  articoli  31,  comma  1,  50,
comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7 e 80, comma 1,  lettera  13)  della
legge regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione  dell'art.  117,
comma 2, lettera s) e comma 3, della Costituzione. 
    E' incostituzionale, per contrasto con i principi fondamentali in
materia  di  governo  del  territorio  contenuti  nel   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 380/2001 e con la normativa statale in
materia di paesaggio contenuta nel decreto legislativo n. 42/2004, la
disciplina dei «margini di flessibilita'» del PUC contenuta  all'art.
31, comma 1 (nella parte in cui sostituisce  l'art.  27  della  legge
regionale n. 36/1997, introducendo, al comma 1, lettera  b),  i  c.d.
«margini di flessibilita'» nel PUC), all'art. 50 (nella parte in  cui
sostituisce l'art. 43 della legge  regionale  n.  36/1997,  rubricato
«Flessibilita' e aggiornamento del PUC»); all'art. 51 (nella parte in
cui prevede che «1. Costituiscono varianti al PUC  le  modifiche  non
rientranti nei margini di flessibilita' o nell'aggiornamento  di  cui
all'art. 43»), all'art. 68 (nella parte in cui  modifica  l'art.  60,
comma 5, lettera b) della legge regionale n. 36/1997, prevedendo  che
«5. In sede di approvazione dei progetti ... puo' essere demandata al
comune: b) la facolta' di assentire direttamente in  sede  di  titoli
edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di
flessibilita', da prefissare in apposito elaborato facente  parte  di
quelli costitutivi del progetto approvato»), all'art.  80,  comma  1,
lettera b) (nella parte in cui prevede che «1. Fino  all'approvazione
del PUC a norma della legge  regionale  n.  36/1997  come  modificata
dalla presente legge:  ...  b)  per  i  comuni  dotati  di  PUC  gia'
approvato a norma delle previgenti disposizioni della legge regionale
n. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al titolo IV, capo III
e IV, ed al titolo V della legge regionale n. 36/1997 come modificata
dalla presente legge ...». 
    Ai sensi dell'art. 43, comma 1, della legge regionale n. 36/1997,
come sostituito dall'art.  50,  comma  1  della  legge  regionale  n.
11/2015, le norme del PUC definiscano  «i  margini  di  flessibilita'
entro cui le relative previsioni possono essere attuate senza ricorso
ne' alla procedura di aggiornamento di  cui  al  comma  3,  ne'  alla
procedura di variante di cui all'art. 44». 
    I  «margini  di  flessibilita'»  consistono,  nei  «distretti  di
trasformazione», in «indicazioni alternative degli  elementi  di  cui
all'art. 29, comma 3, con esclusione della definizione del  perimetro
del distretto  di  cui  alla  relativa  lettera  a)».  Tali  elementi
includono,  «c)  la  disciplina  urbanistico-edilizia,  paesistica  e
geologica  e  vegetazionale»  (art.  29,  comma  3,  come  sostituito
dall'art. 33, comma 4, legge regionale n. 11/2015). Negli «ambiti  di
conservazione, di riqualificazione e di completamento» i  margini  di
flessibilita' sono costituiti da «indicazioni alternative rispetto ai
contenuti stabiliti all'art. 28, comma 4, che non incidano sul carico
urbanistico e sul fabbisogno di standard urbanistici». Tali elementi,
per  cui   possono   essere   definite   «indicazioni   alternative»,
comprendono «b) la disciplina urbanistico-edilizia  degli  interventi
ammessi, anche in applicazione delle misure di cui agli  articoli  da
29-bis a 29-quinquies, e la disciplina paesistica e geologica». 
    Benche'  la  norma  regionale  persegua  evidenti  finalita'   di
semplificazione,  deve,  tuttavia,  rilevarsi  che  il  concetto   di
«margine di flessibilita'» dei  piani  urbanistici  non  e'  definito
dalla  vigente   legislazione   statale   in   materia   urbanistica.
Legislazione che, ai sensi l'art. 82 comma 2, lettera a) (secondo cui
«... le disposizioni della presente legge ... sostituiscono ... 1) il
titolo I, il titolo II, capi I, II, III e IV - articoli 33, 34, 35  e
36 - e il titolo IV - articoli 41-quater e quinquies, 42,  43,  44  -
della legge 17 agosto  1942,  n.  1150  ...»)  e'  quasi  interamente
sostituita dalle disposizioni regionali. 
    Per effetto del combinato disposto delle  disposizioni  regionali
richiamate, dunque,  un  indeterminato  numero  di  fattispecie,  che
interessano anche  la  disciplina  paesaggistica  e  geologica,  sono
sottratte alle ordinarie procedure di varianti  e,  conseguentemente,
agli    obblighi    di     partecipazione     e     pubblicita'     e
procedimentalizzazione   che   scaturiscono   dall'applicazione   del
principio generale per cui il procedimento di variante e'  analogo  a
quello necessario  per  la  formazione  dell'atto  variato.  Inoltre,
introducendo  la   possibilita'   per   il   comune   di   modificare
unilateralmente la disciplina paesistica  contenuta  nel  PUC,  senza
contestualmente prevedere la  partecipazione  dei  competenti  organi
ministeriali, risulta essere violato anche  l'art.  145  del  decreto
legislativo n. 42/2004, perche' non  si  prevede  la  conformita'  di
queste modifiche alla pianificazione paesaggistica, da  un  lato,  e,
dall'altro, non si assicura, ai sensi di quanto previsto dal comma  5
del medesimo articolo, la partecipazione degli organi ministeriali al
procedimento di variante. 
    E questo lede senza dubbio la competenza esclusiva dello Stato  a
disciplinare la materia in questione. 
    Inoltre, per effetto delle disposizioni censurate, gli interventi
realizzati  in  contrasto  con  la  disciplina   urbanistico-edilizia
contenuta in PUC approvati possano successivamente essere legittimati
sotto  il  profilo  urbanistico  ed  edilizio.  In  questo  modo,  le
disposizioni sopra riportate introducono  una  surrettizia  forma  di
condono edilizio, andando cosi' ad invadere la competenza legislativa
statale. Pertanto, anche in questo caso, con le  citate  disposizioni
sono stati travalicati i limiti indicati dalla  Corte  costituzionale
in materia di condono edilizio (sentenza n. 225/2012 e  n.  290/2009,
cit.). Al riguardo,  e'  utile  rammentare  che  le  modifiche  della
disciplina urbanistica non hanno effetto retroattivo (cfr.  Consiglio
di Stato, IV, n.  32/2013),  e  che  la  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 101/2013 ha definitivamente individuato nella cd. «doppia
conformita'», ex art. 36 del  TUE  un  principio  fondamentale  nella
materia «governo del territorio». Si rileva, pertanto, che  le  norme
in questione sono state adottate in contrasto con gli articoli  36  e
37 (cd. doppia conformita') e con l'art. 30, comma  1  (lottizzazione
abusiva) del TUE, e quindi in violazione dell'art. 117, terzo  comma,
Cost. nella materia «governo del territorio». 
    Un ulteriore effetto del combinato  disposto  delle  disposizioni
impugnate e' la previsione della facolta' per i comuni  di  assentire
direttamente in sede di titoli edilizi, varianti  non  essenziali  al
progetto rientranti nei margini di flessibilita',  da  prefissare  in
apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi  del  progetto
approvato. Al riguardo, emerge un evidente contrasto con  l'art.  22,
comma 2-bis del TUE (inserito dall'art. 17, comma 1, lettera  m),  n.
2), del decreto-legge n.  133/2014,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 164/2014) con il quale si  prevede  che  «2-bis.  Sono
realizzabili mediante segnalazione certificata d'inizio  attivita'  e
comunicate a fine lavori  con  attestazione  del  professionista,  le
varianti a permessi di costruire che non configurano  una  variazione
essenziale,  a  condizione  che  siano  conformi  alle   prescrizioni
urbanistico-edilizie  e  siano  attuate  dopo  l'acquisizione   degli
eventuali atti di assenso  prescritti  dalla  normativa  sui  vincoli
paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di  tutela  del  patrimonio
storico,  artistico  ed  archeologico  e  dalle  altre  normative  di
settore». Anche per tale aspetto, si rileva la  violazione  dell'art.
117, terzo comma, Cost. nella materia «governo del territorio». 
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 6,  della  legge
regionale 2 aprile 2015, n. 11, per violazione dell'art.  117,  comma
2, lettera l) e comma 3, della Costituzione. 
    L'art. 61 della legge regionale n. 11/2015  aggiunge  la  lettera
d-bis) al comma 1 dell'art. 53 della precedente  legge  regionale  n.
36/1997. Tale norma dispone che i P.U.O. sono considerati conformi al
PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilita' previsti dal  PUC
e  dal  PUO,  comportino  «d-bis)  la  fissazione  di  distanze   tra
fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino  idonee
ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e  paesaggistico  in
relazione alle tipologie degli interventi consentiti e  tenuto  conto
degli  specifici  caratteri  dei  luoghi  e  dell'allineamento  degli
immobili gia' esistenti, fermo restando comunque  il  rispetto  delle
norme del codice civile  e  dei  vincoli  di  interesse  culturale  e
paesaggistico. Tale riduzione e' applicabile anche nei  confronti  di
edifici ubicati all'esterno  del  perimetro  del  PUO».  La  prevista
possibilita' di ridurre le distanze tra edifici anche  nei  confronti
di edifici ubicati all'esterno del perimetro del  PUO,  incide  sulla
disciplina della distanza tra  edifici  che  appartiene,  come  noto,
all'ordinamento civile che e' nella competenza legislativa  esclusiva
dello Stato. 
    A cio' si aggiunga che, in base all'art. 82, comma 1, lettera a),
n. 3), salvo quanto stabilito in via transitoria agli articoli 79, 80
e 81, le disposizioni della legge regionale in esame sostituiscono il
decreto ministeriale  n.  1444/1968.  Vi  e'  un  potere  derogatorio
attribuito alle regioni dall'art. 2-bis del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001 come  introdotto  nel  2013,  che  pero'
lascia espressamente  ferma  la  competenza  statale  in  materia  di
ordinamento civile, con riferimento al diritto di proprieta' ed  alle
connesse norme del codice civile e alle sue disposizioni integrative. 
    Ora,  come  ha  gia'  ripetutamente  chiarito  la  giurisprudenza
costituzionale,  la  disciplina  delle   distanze   minime   tra   le
costruzioni rientra  nella  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato in quanto attinente  all'ordinamento  civile  (Corte  Cost.  21
maggio 2014, n. 134; Corte Cost. 16 gennaio 2013, n. 6; Corte Cost. 7
maggio 2012, n. 114; Corte Cost. 15 maggio 2005, n. 232). 
    La  stessa  Corte  ha  tuttavia  precisato,  sulla  scorta  della
considerazione che le distanze tra gli edifici possono anche incidere
sull'assetto del territorio, e  quindi  fuoriuscire  dai  limiti  dei
rapporti tra privati, che la loro  disciplina  possa  essere  oggetto
pure di legislazione concorrente regionale quando essa  possa  essere
funzionale agli interessi pubblici legati al governo del  territorio.
Ed in questa  ottica  il  potere  legislativo  regionale  puo'  anche
operare in deroga alle  norme  statali,  purche'  tale  discostamento
persegua finalita' di carattere urbanistico destinate  ad  assicurare
«un  assetto  complessivo  ed  unitario  di  determinate   zone   del
territorio». 
    D'altra parte, la stessa inderogabilita'  dei  (soli)  limiti  di
distanza  era  stata  dallo  stesso  Stato  attenuata  ammettendo  la
possibilita' di distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici  che
formino  oggetto   di   piani   particolareggiati   o   lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche (art.  9  del  decreto
ministeriale n. 1444/1968). Quindi, la legittimazione a derogare  per
ragioni urbanistiche era  principio  gia'  presente  nella  normativa
statale. 
    Nel caso di specie, pero', la regione Liguria non  ha  utilizzato
in   modo    corretto    la    facolta'    derogatoria    concessagli
dall'interpretazione costituzionale ora  ricordata,  ed  ha  pertanto
invaso per l'eccessiva ampiezza della previsione la competenza  dello
Stato. 
    La norma qui censurata infatti contiene  previsioni  urbanistiche
(e di contenuto  di  strumenti  urbanistici)  del  tutto  generali  e
generiche, che non contengono alcun riferimento a quelle  particolari
e specifiche esigenze legate  al  territorio  -  a  quel  particolare
territorio, con quelle particolari caratteristiche dettate da ragioni
naturali e storiche (cosi' Corte Cost. 134/2014 in  parte  motiva)  -
che consentirebbe una disciplina delle  distanze  diversa  da  quella
inderogabilmente fissata dal legislatore statale. Non e' sufficiente,
infatti, una  generica  motivazione  urbanistica  per  legittimamente
derogare ai limiti di matrice statale in tema di distanza tra edifici
(se si ragionasse cosi', e' evidente che ogni strumento  urbanistico,
in quanto tale, potrebbe farlo), ma occorre una specifica motivazione
di omogeneita', complessivita' ed  unitarieta'  che  giustifichi  per
determinate zone una eccezionale -  nel  senso  che  fa  eccezione  -
previsione di assetto fisico.